Spartacus – recensione

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Spartacus di Stanley Kubrick, con Kirk Douglas, Laurence Olivier, Peter Ustinov, Jean Simmons, Tony Curtis.   USA 1960

di Emanuele D’Aniello

Ad appena 31 anni Stanley Kubrick coglie l’occasione di girare uno dei film più maestosi e importanti nella storia del cinema fino a quel momento. Ma il regista non riuscirà mai a prendere davvero in mano il controllo sulla produzione e sullo stile della pellicola, non lo sentirà mai suo, quasi lo rinnegherà negli anni successivi. Ad oggi, pur essendo girato da Stanley Kubrick, questo rimane essenzialmente il film di Kirk Douglas, un grandissimo titolo che si inserisce nel lungo filone di quegli anni di film epici in costume ispirati all’antica Roma, ma che poteva dire sicuramente qualcosa di più.

La storia è a dir poco stranota, la rivolta degli schiavi nel 70 a.C. circa guidata dal gladiatore trace Spartaco che riesce quasi a mettere in ginocchio la Repubblica Romana, fino all’inevitabile disfatta. L’idea del film, tratto dall’omonimo romanzo di Howard Fast ispirata ovviamente alla vera storia antica, era di Kirk Douglas, qui nella doppia veste di produttore e attore. Dopo essere stato scartato per il ruolo da protagonista in Ben Hur l’attore era deciso a fare concorrenza con un film dello stesso genere altrettanto grande ed epico. Questo fa già capire cosa il film vuole essere: un prodotto essenzialmente commerciale totalmente in mano alle decisioni e ai capricci della sua star principale. E uso non a caso il termine capricci perché di questo parliamo, considerando che, dopo appena una settimana di riprese, il regista Anthony Mann viene licenziato da Douglas. Chi prendere allora come regista? Douglas pensa a quel giovane promettente con cui aveva lavorato due anni prima così bene inOrizzonti di Gloria, e lo ingaggia senza problemi. Stanley Kubrick per la prima e unica volta in vita sua entra a far parte di un progetto non uso, addirittura a riprese già iniziate, firmando così il suo primo film a colori. Non può imporre la sua visione, non può imporre il suo stile, riesce a far valere qualche idee di regia ma non riesce a toccare la sceneggiatura. Probabilmente questo è il difetto principale del film, avere un regista capace ma prigioniero dell’ego del suo attore. E lo stesso dicasi per la sceneggiatura di Dalton Trumbo, che si è visto edulcorare il copione in diversi punti da Douglas stesso. I problemi sono proprio i contrasti di personalità così forti ma diverse e le opposte intenzioni, avendo in mano una storia e un materiale di partenza enormemente potente, ricco di sviluppi e possibili letture. Dalton Trumbo, che si era visto includere nelle liste nere di Hollywood dai seguaci del senatore McCarthy per sospette attività filocomuniste, e quindi aveva enormi difficoltà a lavorare, aveva inteso la lotta di Spartaco come una lotta per la libertà e i diritti essenziali dell’uomo; il famoso passaggio del film in cui Crasso parla di liste nere da compilare con i nomi dei nemici di Roma può facilmente ricordare le vere ingiustizie subite da Trumbo in quei tempi. Stanley Kubrick dal canto suo vedeva in Spartaco una lotta fortemente metaforica facilmente ascrivibile a qualsiasi periodo storico, ancora di più a quello contemporaneo: era la lotta sociale contro gli imperialismi moderni, il crollo morale di Roma poteva essere paragonato al crollo morale del nuovo impero moderno, cioè gli Stati Uniti. Materiale socio-politico da trattare nel film è presente in abbondanza, ma Douglas preferì porre il veto su tutto e lasciare sotto traccia le vere tematiche del film, puntando più sul lato spettacolare, sulla storia romantica tra i protagonisti, sul versante commerciale.

Nel film comunque sono presenti grandi momenti e grandi pregi, su tutto il lato tecnico e soprattutto quello recitativo. Mai più in carriera Kubrick avrà al suo servizio un simile cast, i migliori attori del momento tutti in stato di grazia. Paradossalmente il meno in parte è proprio Kirk Douglas, che recita di carisma ma non dà profondità ai tormenti e alle intenzioni del suo personaggio, e rimane sempre troppo “bello e perfetto” per essere credibile nel ruolo di uno schiavo combattente. Il resto è una gara di bravura continua in cui primeggiano Laurence Olivier e Peter Ustinov. Il primo è clamoroso nel creare il suo Crasso: intenso, freddo, cinico, in grado di gelare tutti con uno solo sguardo, rappresenta al meglio tutti i vizi morali dell’intera società romana. Il secondo gigioneggia al punto giusto giusto e strappa le simpatie degli spettatori pur incarnando perfettamente lo spirito degli uomini deboli asserviti al potere per il proprio tornaconto, una prova talmente convincente da meritarsi un giusto Oscar. Se i personaggi sono portatori di messaggi, lo è anche Varinia, l’amante di Spartaco, interpretata da Jean Simmons: lei rappresenta infatti tutto quello che Douglas voleva e che tarpa le ali al film, cioè una storia romantica molto poco interessante portata avanti tramite dialoghi e scene a dir poco pedanti. Le sue scene sono probabilmente i punti più bassi del film. Kubrick non riuscì come detto a mettere parola sulla sceneggiatura, in particolare eliminando le già citate e pessime scene d’amore, per dare più spessore ai personaggi di potere di contorno (la censura e il taglio dell’ormai celebre scena di seduzione di Crasso verso il suo valletto Antonino, eliminata per l’implicita omosessualità del cattivo principale del film, grida tuttora più che mai vendetta) ma perlomeno la sua mano si sente quando il film entra nella fase più spettacolare, con la scena della battaglia finale girata in modo magistrale. Così come la magnifica panoramica sui volti degli attori nella scena madre, il momento in cui tutti gli schiavi si alzano per dire “Io sono Spartaco!” per non far identificare il loro leader, indubbiamente un momento dall’altissimo impatto emotivo.

A distanza di poco più di 50 anni Spartacus riesce a non sembrare un film datato, ma col passare del tempo ha perso sempre più influenza e importanza. La rivolta degli schiavi, la lotta per la libertà, la corruzione del potere e delle istituzioni: tutti temi forti e sempre attuali che, pur essendo presenti nel film, non riescono ad emergere ed a guidare la pellicola, facendo in modo che Spartacus rimanga incastrato nel filone dei film epici degli anni 50 e 60, pur essendo un buonissimo film e forse proprio il migliore di quel genere. Da questo momento Stanley Kubrick capirà che per girare dovrà avere il totale controllo su ogni fase della produzione, dalla nascita dell’idea del film fino alla distrubuzione nelle sale, curando non solo regia e sceneggiatura, ma anche montaggio, casting degli attori e perfino adattamento dei dialoghi per la distrubuzione all’estero. Da questo punto di vista dobbiamo ringraziare Spartacus per aver creato quel Kubrick che farà nascere capolavori in sequenza negli anni successivi.

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2 pensieri su “Spartacus – recensione

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