Jojo Rabbit – recensione

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Avete tutti presente Il Grande Dittatore, no? Il capolavoro di Charlie Chaplin con cui ha mischiato comicità, serietà, messaggio politico e personale creando un qualcosa di immortale, capace di parlare a tutti.

Ecco, ora che lo ricordate, dovete anche sapere che Jojo Rabbit non è nemmeno astralmente avvicinabile a Il Grande Dittatore.

Ora, sono convinto che Taika Waititi certamente non avesse l’ambizione di fare un film al livello di quello di Chaplin. Ma, sono altrettanto convinto, avesse però la piena (e legittima) ambizione di fare un film su quello stile, con quel risultato, che potesse divertire, commuovere, far pensare e diventare una parabola d’esempio contro il clima d’odio dei nostri anni.

Non che non intrattenga Jojo Rabbit, anzi, soprattutto nella prima parte, il film è molto divertente. Ma già in quella prima parte, quando inizia a stabilire un irrecuperabile conflitto di tono, semina tutti i suoi problemi cinematografici e ideologici.

Waititi infatti, anche per uno stile molto ben chiaro e personalissimo, non cerca il dramedy, bensì una commedia strampalata, fuori dalle righe, spesso assurda, che mal si sposa con i toni seri con la quale si alterna. È difficilissimo per lo spettatore, per usare un eufemismo, districarsi tra i due toni: commedia e dramma vanno bene, ma commedia assurda e dramma importante proprio no.

Il problema di fondo di tale scelta stilistica è la noncuranza, e anche quel pizzico di arroganza, con cui Waititi pensa di raccontare la propria vicenda. Non si può prendere il racconto di una giovane ebrea che si nasconde dai nazisti e usare l’Olocausto solo come strumento narrativo. Non si possono raffigurare i nazisti veri di quella Germania solo come macchiette, ridere addirittura con loro, fino a renderli simpatici. Non si può vedere quel finale allegro e spensierato dopo tutto ciò che è successo.

Persino un film controverso, ma molto più centrato, coerente e attento come La Vita è Bella non aveva osato tanto. Waititi è cinematograficamente irrispettoso perché sente di avere ideologicamente la ragione dalla sua parte, e finisce così per creare un messaggio indirizzato inutilmente a chi era già ideologicamente dalla sua parte, a chi già sapeva prima di vedere Jojo Rabbit che il clima d’odio attuale va combattuto.

Jojo Rabbit è divertente e godibile, e su questo siamo sicuri. Ma si doveva davvero scomodare l’Olocausto, i rifugiati, i nazisti e i bambini soldato per fare solo l’ennesima commedia divertente e godibile?

 

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