[Venezia 2018] The Other Side of the Wind – recensione

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E ora come ve lo spiego che, nel 2018, ho visto un nuovo inedito film di Orson Welles?

Eppure la storia di The Other Side of the Wind è materiale da leggenda per ogni cinefilo. Proviamo la strada breve: questo film è stato girato da Orson Welles tra il 1970 e il 1976, e nonostante i 6 anni è finito incompiuto, mai montato lasciato negli scaffali a causa dei finanziamenti finiti o scappati. Per anni Peter Bogdanovich, amico di Welles e attore nel film, ha provato a sistemare le oltre 100 ore di materiale girato, e solo due anni fa è entrata sulla scena Netflix che ha messo i soldi per tale operazione e permesso la chiusura del cerchio. Dopo quasi cinquanta anni.

Ora che avete almeno chiare le basi di ciò di cui stiamo parlando, mollate comunque gli ormeggi mentali: per un motivo o per un altro, The Other Side of the Wind non è nulla di ciò che potete aspettarvi. Del tocco celeberrimo di Orson Welles c’è l’anarchia, e quella sicuramente regna sovrana durante i 120 minuti usciti fuori dopo tutti questi anni. Un girato che passa dal colore al bianco al nero, da un missaggio sonoro ballerino e poche scene definitive, non può essere un vero film, chiaramente. Ma giudicarlo come tale sarebbe folle, nel 2018.

Ciò che abbiamo davanti è un’esperienza magica, che va vissuta come tale e di cui, oltretutto, dobbiamo essere grati.

Quello che ci appare è l’apice del metacinematografico, sia voluto – la trama racconta di un regista che mostra un film appena girato agli amici, quindi c’è un film dentro un film – sia soprattutto involontario – il regista non ha finito il suo film, sono finiti i soldi, è ormai in crisi – mischiato ad un tono assolutamente sopra le righe. Sembra che con questa storia Welles si fosse portato sfortuna da solo, o molto più banalmente abbia profetizzato il suo futuro, ben consapevole dei tanti problemi avuti in carriera con produttori vari.

Se capiamo che The Other Side of the Wind, adesso, non può essere un film vero, semmai una esperienza vera, possiamo godercelo. E goderci quanto Welles a fine carriera fosse ancora così vivo, così voglioso di creare controversie e sperimentare. Il film nel film è l’esempio perfetto di come i grandi registi del bianco e nero, una volta passati al colore, provassero forme e toni inusitate, e sempre bellissime. Provava Welles e provavano allora, tentavano, sperimentavano, rischiavano.

Questo è un documento enorme su come il cinema nei suoi lati negativi e problemi non sia mai cambiato. Ma nei suoi lati artistici potenziali, purtroppo, si è quasi involuto. Rischiare adesso è un lusso che si concedono in pochissimi. Vedere nel 2018 un’opera inedita di Orson Welles è un fortissimo reminder su quanto il cinema possa regalarci se in grado di spiegare le ali e sfidare il Sole.

 

fonte: Culturamente

 

 

4 pensieri su “[Venezia 2018] The Other Side of the Wind – recensione

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