Nymphomaniac di Lars Von Trier, con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Jamie Bell, Shia LaBeouf, Christian Slater, Uma Thurman, Mia Goth, Sophie Kennedy Clark. Danimarca 2013
di Emanuele D’Aniello
Lars Von Trier, perchè ormai si giudica più lui che i suoi film, è un caso che andrebbe studiato nelle università. Parliamo di un regista proveniente dalla Danimarca, che fa un cinema assolutamente ancorato alla tradizione europea, ostico nei temi e nello stile, spregiudicato e lontanissimo anche da una minima parvenza di cinema mainstream, eppure è noto in tutto il mondo e dei suoi film parlano anche coloro che non li hanno mai visti. Non sentite mai discutere la gente quando esce un nuovo film di Haneke, Ceylan, i Dardenne, Ozon, eppure su Von Trier tutti hanno un’opinione. Ora prendiamo un film comeNymphomaniac, e moltiplichiamo quanto appena detto per mille.
Cosa dire dell’ultima opera del maestro danese? C’è da dire tanto, e su questo siamo sicuri.Nymphomaniac è al tempo stesso un gioco, una provocazione, e un film bello, serio, dolente e importante. Solo un personaggio senza peli sulla lingua poteva realizzare una simile opera, che racchiude davvero una summa di temi del cinema vontrierano. Ma per rispondere subito una domanda: Nymphomaniac può essere davvero definito un porno d’autore come molti dicono? La risposta è la più ovvia e semplice: assolutamente no. Von Trier ha giocato tanto, tantissimo sul tema scabroso della pellicola, indubbiamente anche pensata ad arte, con una campagna promozionale tutta costruita sul richiamo agli istinti pruriginosi degli spettatori di mezzo mondo. E’ sicuramente un film tremendamente esplicito nel linguaggio e nelle immagini (e lo è pure la versione censurata, quella arrivata nei cinema italiani e che giudichiamo in questa recensione, quindi figuriamoci la versione estesa) ma c’è totale assenza di piacere e erotismo. Troverete tanto sesso, inquadrature di vagine e falli eretti, ma l’hard o le scene di sesso fini a se stesse sono da un’altra parte.
Su questo sicuramente Von Trier ha provocato e giocato. Lo si è accusato di tantissime cose in carriera, a partire da una presunta misoginia, quando in realtà bisognerebbe ricordare che Von Trier provoca e gioca. E qui lo fa tantissimo, con cambi di stile continuo, uso spericolato della musica, passaggi dal colore al bianco e nero, sovrimpressioni, digressioni sceniche, dissolvenze, rimandi ai suoi riferimenti Pasolini e Tarkovskij, addirittura autocitazioni esplicite. Insomma, il Von Trier del Dogma 95 è ormai lontano anni luce, per non dire definitivamente scomparso.
E poi, oltre il gioco, oltre la provocazione, oltre il gusto della polemica e di far parlare la gente, fortunatamente c’è il film, anzi, c’è soprattutto il film. ENymphomaniac finisce per essere come detto uno dei film più duri, sinceri, dolorosi e coraggiosi di Von Trier. Coraggioso non per come mostra la materia sesso, ma coraggioso per come Von Trier decida di mettersi a nudo di fronte allo spettatore. Lo ha fatto già negli ultimi film, quando Antichrist e Melancholia hanno evidenziato le paure e la depressione reale del regista, ma qui si raggiunge un livello successivo. Nymphomaniac è in tutto e per tutto una seduta di psicanalisi in cui a partecipare non sono la Joe di Charlotte Gainsbourg o il Seligman di Stellan Skarsgard, ma lo stesso Von Trier nel doppio ruolo di paziente e dottore. E’ Von Trier a parlare, a tirar fuori le sue personali ossessioni e paure, e di conseguenze il film diventa una specie di filtro attraverso cui noi formiamo la nostra visione del Von Trier cineasta e uomo. E così facendo è incredibile accorgersi di come Nymphomaniac parli di tutto tranne del sesso. Questo è il vero colpo da maestro. Perchè il sesso mostrato nel film, spurgato dall’erotismo, eviscerato dal piacere, finisce per essere – o meglio, per tornare ad essere – solo un’azione primordiale che uomini e donne utilizzano per veicolare, sfogare, nascondere sentimenti, istinti e paure. La Joe del film è una ninfomane da scuola, ma il godimento dei suoi atti è sempre relativo, il suo percorso è sempre emotivo e mai finalizzato al piacere. Le numerose digressioni di Seligman potranno sembrare un simpatico diversivo, un contrappunto necessario per ammorbidire la narrazione, in realtà sono spesso azzeccate e colgono il senso e la tragica metafora dei comportamenti umani. Nymphomaniac è forse il film di Von Trier che affronta i temi più universali e empatici nel raccontare una umanità che ha perso la capacità di costruire relazione, in cui l’amore è assente e nel sesso è assente l’emozione, non solo il piacere.
Indubbiamente Von Trier aveva già lavorato su questi sentimenti – il sesso come risposta agli istinti personali e come rottura delle convezioni sociali lo troviamo già in Idioti, la ricerca dell’amore tramite il sesso la troviamo in Le Onde del Destino, l’assenza di amore e umanità è centrale in film come Dancer in the Dark – ma ora il regista danese può aggiungere l’elemento decisivo: il dolore che proviene dall’esperienza personale. Joe non è una persona buona, ma è totalmente cosciente dei propri sentimenti – o dell’assenza di essi – e delle sue azioni e si sforza di capire, crescere e migliorare, esattamente come il Von Trier che esce da anni di depressione e sa di essere un uomo problematico. Non è un caso che Joe, pur con tutti i suoi istinti, le contraddizioni, le iniquità pensate e commesse, sia in realtà l’unico personaggio centrale con una morale. Lei è consapevole della propria deviazione, della propria solitudine, e cerca in un certo senso una auto-punizione attraverso il sesso. Tutto ciò, paradossalmente, è profondamente morale, e Nymphomaniac tutto finisce per essere un film estremamente morale ma fortunatamente mai moralista. E ovviamente al centro di tutto troviamo ancora una donna. Chi accusa l’autore danese di misoginia non ha capito che nel ritratto del mondo femminile c’è da un lato il già detto gusto della provocazione, dall’altro una implicita invidia: Von Trier vede nella forza della donna, che prova i sentimenti più forti e i dolori maggiori, tutto quello che lui non è e vorrebbe essere (il suo unico film forse veramente misogino è Antichrist, ma come detto quello è il Von Trier della depressione più acuta). Nymphomaniac, in un certo senso, è anche una risposta a tutto ciò, essendo il film che distrugge a pezzi il maschio. Nel film i maschi sono privi di scrupolo, moralità, i più facili da attaccare e far cadere, i più inclini a cedere alle tentazioni, anche i più stupidi, sicuramente i più anaffettivi. Seligman ne diventa suo malgrado un simbolo. E anche chi potrebbe obiettare citando il padre di Joe, sa che freudianamente non è così. Von Trier sta spostando il suo tiro sulla misantropia, e proprio in questo sensoNymphomanic è forse la sua opera più dolorosa. Se con Melancholia questa sfiducia totale nell’umanità era addirittura evidente e narrativamente resa dalla distruzione del mondo, lì comunque un barlume di speranza e unione c’era; in Nymphomaniac, la speranza non c’è più.
In fondo, con molto timore e un po’ di ribrezzo, possiamo affermare che tutti noi siamo un po’ Joe e tutti noi siamo un po’ Seligman. “Umano, troppo umano” diceva qualcuno molto più bravo, e più di un secolo dopo Von Trier è riuscito ad esplorare l’accezione più negativa di questa sentenza.
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